28 Anni Dopo: La Spiegazione Del Finale Del Film

Ultimo aggiornamento: 01 luglio 2025 09:33

28 Anni Dopo non è semplicemente il sequel atteso di una saga horror. È un’opera profonda, stratificata, che va ben oltre le aspettative del pubblico che si aspettava l’ennesimo film post-apocalittico. Invece di concentrarsi solo sulla paura, 28 Anni Dopo ci mette davanti a un’analisi intensa della condizione umana: come ricordiamo, come elaboriamo i traumi e come le società cambiano, o si bloccano, davanti all’ignoto.

La pellicola inizia riportandoci indietro, al momento in cui tutto è cominciato. Il virus della Rabbia, scatenato per errore da un gruppo di attivisti 28 anni prima, ha trasformato l’Inghilterra in una zona isolata dal mondo, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato nel 2002, mentre il resto del pianeta è andato avanti. È in questo spazio congelato che seguiamo la storia di Spike, un dodicenne che vive con il padre Jaime in una piccola comunità su un’isola autosufficiente, chiamata “Isola Sacra”.

Il loro viaggio verso la terraferma è una sorta di rito di passaggio per Spike, ma anche un simbolo potente: quando il ragazzo decide di lasciare indietro il suo giocattolo dei Power Rangers, capiamo che sta dicendo addio all’infanzia. È il primo segnale di una perdita d’innocenza che attraversa tutto il film.

Memoria, trauma e regressione sociale

Uno dei temi più forti di 28 Anni Dopo è la memoria, e soprattutto, come la memoria possa essere selettiva o distorta. Il Regno Unito nel film è una specie di ricordo deformato di sé stesso: la cultura è rimasta congelata, in alcuni casi addirittura regredita. Ne è un esempio assurdo e inquietante il culto di Jimmy Savile, che nel mondo del film non è mai stato smascherato per le sue reali colpe. Il suo personaggio è ancora considerato un’icona, e c’è chi si veste e si comporta come lui, incapace di abbandonare il passato.

Questa fissazione per il tempo perduto si riflette anche nei luoghi e negli oggetti che popolano il film: la catena di ristoranti Happy Eater, chiusa nella realtà nel 1996, o l’albero del Sycamore Gap, abbattuto nel 2023, sono ancora presenti. Non si tratta di errori, ma di dettagli che sottolineano quanto l’umanità nel film sia bloccata in una nostalgia paralizzante.

Centrale è anche il tema del trauma. Il personaggio di Jimmy, un sopravvissuto dell’epidemia originale, è rimasto fermo a un’infanzia spezzata dalla violenza. È diventato il leader di un culto che si rifà ai Power Rangers, ma non per gioco: è un modo di ripetere e riscrivere il suo trauma, per avere finalmente il controllo su qualcosa. La contrapposizione tra Jimmy e Spike è chiara: uno è bloccato nel passato, l’altro cerca di crescere.

Il film non parla solo dei traumi personali, ma anche di quelli collettivi. 28 anni dopo di sopravvivenza in un mondo simile, la follia è sempre dietro l’angolo. La poesia Boots di Kipling, citata nel film, racconta proprio la monotonia e l’alienazione della vita ripetitiva, e nel film diventa simbolo della fragilità mentale dei personaggi. Anche Isa, la madre di Spike, ne è una vittima: le sue crisi mentali, che la fanno regredire nel tempo, sono l’altra faccia del virus stesso. L’idea che la regressione mentale e la rabbia del virus siano speculari è una delle intuizioni più forti del film.

La società rappresentata sull’Isola Sacra è un’altra finestra sulla regressione culturale. Ci troviamo davanti a un modello di vita simile a quello dell’Inghilterra degli anni ‘50, dominato da ruoli rigidi: gli uomini cacciano, le donne cucinano. L’autorità patriarcale è evidente e si riflette anche nell’educazione: la sberla che Jaime dà a Spike viene presentata come una forma di genitorialità vecchio stile, “non moderna”. Anche il modo in cui Jaime espone suo figlio al pericolo prima del tempo suggerisce quanto le regole si siano ammorbidite nel tempo, forse per stanchezza, forse per abitudine.

In netto contrasto con questa durezza emerge la figura del Dottor Kelson, un uomo che si rifiuta di vedere gli infetti come mostri. Per lui, sono ancora esseri umani, malati e sofferenti. Il suo Tempio delle Ossa, costruito con scheletri sia di infetti che di non infetti, è un potente memento mori, un invito ad accettare la morte e a non negare il dolore. È anche lui ad aiutare Isa a morire con dignità, introducendo il delicato tema del fine vita come scelta consapevole.

28 anni dopo è ricco di simbolismi religiosi: l’antagonista principale si chiama Samson, proprio come il biblico Sansone, e il culto di Jimmy è punteggiato da croci rovesciate e richiami alla crocifissione. Persino il suo nome completo, Jimmy Crystal (JC), richiama Gesù Cristo, ma in una versione corrotta, e pericolosa.

Il significato del finale di 28 Anni Dopo

Il finale di 28 anni dopo apre la strada a un cambio di tono netto. Fino a quel momento, 28 Anni Dopo ha mostrato l’umanità nei suoi aspetti più fragili e complessi, ma con l’arrivo del culto di Jimmy, i cosiddetti “Jimmies”, fa irruzione una nuova forma di male: il male umano, freddo, compiaciuto, violento.

Quando Spike incontra Jimmy, e quest’ultimo gli stringe la mano, è un momento che lascia il pubblico con un senso di inquietudine profonda. Non si tratta solo dell’inizio di un nuovo arco narrativo, ma di un passaggio di testimone. La possibilità che Spike venga corrotto dal carisma pericoloso di Jimmy è reale, e pone domande cruciali sul futuro morale dei personaggi.

28 anni dopo, il poster del film

Gli autori del film hanno dichiarato chiaramente che Jimmy non è un salvatore, ma il ritorno del lato oscuro dell’uomo, un tema centrale già nei film precedenti della saga. E c’è una teoria interessante che aleggia tra i fan: Jimmy potrebbe essere collegato a Jim, il protagonista del primo film. Con Cillian Murphy confermato nel cast del prossimo capitolo, la possibilità che la storia si chiuda in un cerchio perfetto è più concreta che mai.

In conclusione, 28 Anni Dopo è molto più di un horror post-apocalittico. È un film che parla di come ricordiamo, come soffriamo e come, a volte, non impariamo nulla. Un’opera che racconta con lucidità come il passato, se non viene affrontato, possa diventare una gabbia. E come il vero pericolo, spesso, non sia il virus… ma ciò che gli esseri umani sono disposti a fare dopo 28 anni di sopravvivenza.


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