Ultimo aggiornamento: 30 aprile 2025 12:33
Nel caotico universo di Hollywood, dove ogni giorno si accende una nuova fiamma creativa e altrettante vengono soffocate da logiche industriali e diritti incrociati, ci sono progetti che resistono nel tempo come fantasmi affascinanti. Uno di questi è 23 Jump Street, il terzo, mai nato, capitolo della saga comico-poliziesca che ha sorpreso tutti e ridefinito il concetto stesso di reboot cinematografico. Un film che, tra promesse, crossover fantascientifici e sceneggiature mai girate, continua a vivere nei desideri dei fan e nelle dichiarazioni dei suoi protagonisti.
Nel 2012, l’uscita di 21 Jump Street lasciò di stucco il pubblico. Sulla carta era l’ennesimo remake nostalgico, tratto da una serie TV degli anni ’80 in cui giovani agenti della polizia si infiltrano nei licei. Ma la versione cinematografica fece una scelta audace: invece di prendersi sul serio, optò per l’autoironia, la comicità sfrenata e una chimica inaspettatamente perfetta tra i due protagonisti, Channing Tatum e Jonah Hill. Il risultato fu un successo di critica e pubblico. Con un budget contenuto, il film incassò oltre 200 milioni di dollari in tutto il mondo.
Il sequel, 22 Jump Street, arrivò nel 2014 con l’intenzione di alzare la posta. E lo fece, eccome. Incassi stellari (oltre 331 milioni di dollari globali), gag memorabili e una trovata geniale nei titoli di coda: una sfilza infinita di sequel fittizi, da “23 Jump Street: Scuola di Medicina” a “42 Jump Street: Rosa e Nero”. Un colpo di genio metacinematografico che prendeva in giro la stessa industria hollywoodiana e lasciava intendere che, forse, l’avventura finiva lì.
E invece no.
Il sogno folle: Jump Street incontra Men in Black
Nel novembre 2014, uno dei leak più clamorosi della storia del cinema colpì la Sony: migliaia di email e documenti riservati vennero resi pubblici da un attacco hacker. In mezzo a piani per sequel, reboot e casting stellari, spuntò una notizia surreale: 23 Jump Street sarebbe stato un crossover con Men in Black. Il titolo provvisorio? MiB 23. Due universi agli antipodi pronti a collidere: da una parte l’irriverenza giovanile e fuori controllo di Jenko e Schmidt, dall’altra la compostezza e il rigore degli agenti che sorvegliano l’attività aliena sulla Terra.
L’idea fece rapidamente il giro del web, dividendo i fan. Da un lato c’erano coloro entusiasti di un’operazione folle, capace di sovvertire qualsiasi logica. Dall’altro, chi temeva che un mash-up del genere potesse snaturare l’essenza di entrambe le saghe.
E proprio questo timore venne confermato da Jonah Hill, che in diverse interviste espresse scetticismo sul progetto. A suo dire, MiB 23 rischiava di trasformarsi in ciò che Jump Street aveva sempre parodiato: un’operazione commerciale troppo ambiziosa, priva di quell’ironia auto-consapevole che ne aveva decretato il successo. Inoltre, il fallimento commerciale e critico di Men in Black: International nel 2019 raffreddò ulteriormente gli entusiasmi, portando Sony a mettere il progetto in pausa – forse definitiva.
Una sceneggiatura esiste.
Nonostante il crossover non abbia mai visto la luce, l’idea di un vero 23 Jump Street non è del tutto tramontata. Anzi. Di recente, Channing Tatum ha dichiarato pubblicamente di aver letto una sceneggiatura che definisce “la migliore mai scritta per un sequel”. Non ha specificato se si tratti ancora del progetto MiB 23 o di una nuova direzione narrativa, ma l’entusiasmo dell’attore – unito a quello di Jonah Hill, apparentemente disposto a tornare al genere comico dopo una virata verso ruoli più drammatici – ha riacceso le speranze dei fan.
Anche Ice Cube, che interpreta l’iconico e irascibile Capitano Dickson, si è detto pronto a tornare. E allora perché il film non si fa? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: burocrazia. Tatum ha parlato apertamente di problemi “above the line”, ovvero quelli che coinvolgono le figure apicali della produzione – dai produttori ai detentori dei diritti – e che spesso bloccano anche i progetti più promettenti.
23 Jump Street: una saga che merita un ritorno
La saga di Jump Street ha avuto il merito di riflettere su Hollywood con il sorriso sulle labbra. Ha preso in giro i reboot, i sequel, le mode del momento e l’ossessione per le operazioni nostalgia. Eppure, paradossalmente, è proprio questa saga ad aver creato un desiderio reale per un terzo film. Il pubblico non chiede un prodotto “usa e getta”, ma un ritorno che sia all’altezza delle premesse, capace di raccontare ancora qualcosa con intelligenza e ironia.
Nel panorama comico attuale – fatto spesso di prodotti seriali o troppo “puliti” – la voce dissacrante di Jump Street manca. Tatum e Hill hanno dimostrato di saper reggere ruoli comici senza scadere nella macchietta, costruendo due personaggi che, tra un’esplosione e una battuta, hanno saputo crescere ed evolversi. La loro dinamica, da improbabile “strana coppia”, è uno dei pochi esempi recenti di bromance riuscita, autentica e mai forzata.
Riflessione finale
Se c’è una lezione da trarre dalla storia (finora) incompiuta di 23 Jump Street, è questa: anche nel mondo del cinema, dove tutto sembra possibile, spesso i sogni si infrangono contro ostacoli invisibili al grande pubblico. Budget, diritti, tempistiche, ego e strategie aziendali possono congelare anche le idee più brillanti. Ma allo stesso tempo, l’attesa può trasformare un progetto in qualcosa di più grande della somma delle sue parti.
Forse 23 Jump Street non nascerà mai. O forse arriverà, quando meno ce lo aspettiamo, per sorprenderci ancora una volta. E se lo farà, speriamo che resti fedele al suo spirito: irriverente, intelligente, imprevedibile. Perché se c’è una cosa che questa saga ci ha insegnato, è che nulla è impossibile… nemmeno un sequel che prende in giro i sequel.
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