Ultimo aggiornamento: 14 maggio 2025 09:45
Quando Better Call Saul ha preso il via, sembrava un gioco rischioso. Chi voleva davvero sapere come un avvocato sbruffone fosse diventato il pagliaccio criminale che aiutava Heisenberg? Eppure, episodio dopo episodio, la serie ha dimostrato di avere molto più da dire. Perché se Breaking Bad ci aveva mostrato l’orgoglio che divora, Better Call Saul ha indagato l’anima che si frantuma lentamente, una bugia alla volta.
Ho fatto tutto questo per me. Mi piaceva. Ero bravo a farlo.
Walter White
Con queste parole, Walter White sigilla la fine di Breaking Bad. Non è l’eroe. Non è la vittima. È solo un uomo che ha scelto di essere cattivo, e ne ha pagato il prezzo: muore solo, temuto e odiato da tutti quelli che ha toccato. Nessuna gloria, nessun saluto. Solo il vuoto lasciato da un impero costruito sul metanfetamine e bugie. Ma c’era un’idea potente sotto quella fine brutale: la discesa nell’oscurità non è un evento improvviso, ma una lenta, inesorabile scelta quotidiana.
Non come si diventa Saul. Ma come si smette di esserlo.
Il cuore di Better Call Saul non è la trasformazione di Jimmy McGill in Saul Goodman. È la domanda posta in silenzio a ogni stagione: È possibile tornare indietro? E se sì, a quale prezzo?
Jimmy McGill era un truffatore con una coscienza. Saul Goodman? Un’armatura fatta di battute, cinismo e telefoni usa e getta. Quello che la serie ci mostra, però, è che Saul non è solo un personaggio. È una maschera costruita con cura chirurgica per non sentire niente. Dopo aver contribuito alla rovina del fratello Chuck, Jimmy smette di essere Jimmy. Dopo la perdita di Kim, cessa di essere umano.
Il trauma, in Better Call Saul, non è un incidente. È un accumulo. È una valanga di silenzi, omissioni e razionalizzazioni. Quando Chuck si suicida, Jimmy capisce – ma non ammette – che le sue azioni l’hanno spinto al limite. Invece di affrontare il dolore, si chiude in un sorriso a trentadue denti. Quando Howard viene ucciso davanti a lui e Kim lo lascia, Jimmy compie il passo definitivo: sparisce dietro Saul. Letteralmente. Il suo nuovo nome diventa la sua prigione.
Saul Goodman: un uomo che non sopporta il silenzio
Il Saul che conosciamo, quello di Better Call Saul, è un relitto umano vestito da venditore di auto. Non dorme. Non pensa. Non prova. È sempre occupato: escort, chiamate, pillole, fast food. Tutto pur di non essere lasciato da solo con se stesso. Ma i fantasmi sono più ostinati del tempo. Il libro “La macchina del tempo”, appartenuto a Chuck, lo segue anche nella nuova vita da Gene Takovic. Quando chiede a Mike, a Walt, a tutti: “Se potessi tornare indietro, cosa cambieresti?”, non sta facendo filosofia. Sta cercando una via d’uscita dalla sua colpa.
Ma l’uscita non esiste. Almeno non fino a quando non arriva l’unica persona che l’ha mai conosciuto davvero: Kim Wexler.
La confessione che cambia tutto
Alla fine di Better Call Saul, succede qualcosa di semplice e devastante. Jimmy scopre che Kim ha confessato. Non a parole, ma nei fatti: ha firmato una deposizione giurata, si è esposta a un’azione civile. Non doveva farlo. Nessuno la obbligava. Lo ha fatto lo stesso.
Per Jimmy, è uno shock. Se Kim ,la donna più razionale che conoscesse, è disposta a pagare un prezzo reale per la verità, allora forse la verità vale qualcosa. Forse non tutto è perduto. Forse non è condannato a essere Saul Goodman per sempre.
E così, fa qualcosa che non aveva mai fatto davvero: dice la verità.
Prima davanti alla corte, poi davanti a Kim. Non per ottenere uno sconto. Non per manipolare il sistema. Ma per riprendersi l’unica cosa che aveva perso molto prima dei soldi, della fama, di Walt: sé stesso.
Il ritorno di James McGill
Quando Jimmy sale sul banco dei testimoni, lo fa con l’intento di fare l’ennesima mossa da stratega. Ma poi, la vede. Kim. E qualcosa si spezza.
Ammette tutto. Che ha contribuito ai crimini di Walter White. Che ha distrutto suo fratello. Che ha permesso la morte di Howard. Che ha vissuto come un vigliacco. Non sono solo confessioni legali. Sono confessioni morali. Sono la verità di un uomo che, per la prima volta, non ha più paura di se stesso.
E il sistema reagisce come deve: 86 anni di prigione. Nessuna grazia, nessuna scorciatoia.
Eppure, nonostante la condanna, quella prigione non è una gabbia. È una liberazione. Jimmy è rispettato, persino un po’ ammirato. Non è Saul Goodman. Non vuole esserlo. È tornato a essere James McGill. L’unico che Kim potesse mai amare. Non possono più stare insieme. Ma nella scena finale, quando lei lo chiama “Jimmy” e lui le risponde con un gesto semplice, quei vecchi “finger guns”, tutto è chiaro: lui non fugge più.
È tornato.

Better Call Saul:Un finale davvero felice? Forse sì. Ma non come ce lo aspettavamo.
No, Jimmy McGill non esce di prigione. Non riconquista la sua vita, né la sua carriera, né l’amore nel senso convenzionale. Ma per un uomo che ha passato decenni a nascondersi dietro identità inventate, essere visto davvero, anche solo da una persona, vale più della libertà.
In un mondo dove chi sbaglia spesso continua a mentire, razionalizzare, sopravvivere senza mai affrontare il proprio riflesso, Jimmy fa qualcosa di radicale: si guarda allo specchio. E smette di scappare.
La sua è una vittoria silenziosa, ma potentissima. Non c’è musica trionfale. Non ci sono abbracci. C’è solo una camminata lenta verso il cortile di un carcere, con un ultimo sguardo scambiato attraverso una grata. Ma in quello sguardo c’è tutto. C’è Kim che riconosce l’uomo che ha amato. C’è Jimmy che, dopo anni passati a mentire per guadagnare tempo, ha finalmente detto la verità per guadagnare dignità.
L’intera esistenza di Saul Goodman era un esercizio di fuga: fuga dalla vergogna, dal dolore, dal giudizio del fratello, dalla delusione di Kim, dalla propria responsabilità. Ma quella fuga lo aveva lasciato vuoto, consumato, una caricatura di sé. Persino Gene Takovic – l’ultimo travestimento – non era altro che un’ombra che si spegneva in un centro commerciale.
E allora sì, paradossalmente, il momento in cui Jimmy entra in prigione è quello in cui esce dalla sua condanna spirituale.
In Better Call Saul, la vera cella non era fatta di sbarre, ma di menzogne e paura. Uscirne ha richiesto il coraggio di perdere tutto per ritrovare sé stesso. È la confessione, e l’accettazione della punizione, che lo liberano. È Kim che lo chiama “Jimmy” ,e non Saul, a segnare il ritorno dell’uomo, non della maschera.
Questa è la conclusione che “Better Call Saul” ha scelto, ed è per questo che è grande: non ha cercato un lieto fine. Ha cercato quello giusto.
In un’epoca di redenzioni facili e morali sbrigative, Better Call Saul ha avuto il coraggio di dire che la salvezza non sta nel perdono degli altri, ma nella riconciliazione con se stessi. Non basta scusarsi. Non basta piangere. Bisogna pagare il prezzo, guardarne il peso, e accettarlo. Solo allora si può smettere di essere Saul Goodman e tornare, semplicemente, ad essere James McGill.
Non un eroe. Non un santo.
Ma un uomo.
E a volte, questa è la forma più rara e difficile di redenzione.
Scopri di più da Considera il film
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.