Ultimo aggiornamento: 18 aprile 2025 14:29
ll ritorno di USS Callister con l’episodio sequel USS Callister: Into Infinity rappresenta una delle mosse più rischiose e al contempo attese nella storia recente di Black Mirror. L’episodio originale, acclamato per la sua satira tagliente su potere, abuso tecnologico e coscienza digitale, è entrato di diritto tra i capolavori della serie creata da Charlie Brooker. Quando Netflix ha annunciato un seguito, la reazione è stata mista: entusiasmo, sì, ma anche timore. I sequel, in particolare di episodi così ben riusciti, rischiano spesso di diluire l’impatto del materiale originale. Ma USS Callister: Into Infinity, sorprendentemente, riesce a non solo reggere il confronto, ma a espandere con coerenza e intelligenza un universo narrativo già denso di implicazioni morali.
Una distopia digitale sempre più vicina
Nell’episodio originale, USS Callister, lo spettatore viene introdotto in un universo simulato dominato da Robert Daly, brillante programmatore ma uomo solitario, che sfrutta la tecnologia per trasferire coscienze digitali clonate dei suoi colleghi all’interno di una sua versione privata del videogioco online Infinity. In questo mondo isolato e sadico, Daly impersona un capitano autoritario in stile Star Trek, punendo e dominando cloni consapevoli che, seppur creati digitalmente, possiedono emozioni, dolore e desideri. Il suo dominio termina con una ribellione che lo porta alla morte nel mondo reale, mentre i suoi cloni si liberano nella vera versione online del gioco.
Il sequel raccoglie i fili narrativi di questa fuga. I cloni ora navigano nell’oceano incerto del vero Infinity, un universo popolato da migliaia di giocatori reali. Ma la libertà ha un prezzo: la mancanza di identità virtuali ufficiali li rende sospetti, mentre la carenza di risorse e crediti digitali li costringe ad affrontare dinamiche sociali e di sopravvivenza completamente nuove. Questo spostamento di contesto apre nuove questioni su cosa significhi davvero “libertà” per entità nate nella prigionia, ma capaci di pensiero autonomo.
Clonazione digitale e responsabilità morale
Al cuore della vicenda resta il tema della clonazione coscienziale. Black Mirror ha spesso esplorato le frontiere dell’intelligenza artificiale, ma USS Callister: Into Infinity affrontano con precisione chirurgica il nodo più inquietante: è morale creare una copia digitale perfettamente cosciente di un essere umano? E se sì, quali diritti dovrebbe avere?
Nel sequel, questa domanda si fa ancora più pressante con la rivelazione che Mr. Walton, ex collega di Daly, fu in parte responsabile per aver fornito la tecnologia di clonazione. Una rivelazione che mette in discussione la semplice dicotomia vittima-carnefice. Daly, da molti considerato il villain per eccellenza, emerge ora come un individuo tragicamente ambiguo: socialmente isolato, umiliato e spinto da ossessioni, è al tempo stesso vittima e persecutore. Ma la sua crudeltà nei confronti dei cloni — entità dotate di coscienza — lo rende comunque imperdonabile.
Questioni irrisolte e nuovi orizzonti narrativi
L’assenza dell’attrice Michaela Coel nel sequel ha fatto discutere, alimentando ipotesi su disaccordi con la produzione. Allo stesso tempo, l’introduzione di nuovi personaggi, come Carl, e riferimenti all’universo condiviso di Black Mirror (con l’ospedale Juniper e altre tecnologie note) suggeriscono che ci siano ancora molte strade da esplorare. Il finale, volutamente aperto, lascia questioni cruciali in sospeso: che ne sarà dell’equipaggio della USS Callister? Come evolverà la coscienza digitale in un ecosistema sociale interattivo e regolato da interessi aziendali? E soprattutto, che ruolo avrà Nanette, ora custode di coscienze intrappolate nella sua mente?

USS Callister: Into Infinity, spiegazione del finale
Nel climax dell’episodio, l’equipaggio della USS Callister scopre che la loro nuova realtà è tutt’altro che libera: catapultati nel cuore del gioco Infinity, devono ora sopravvivere in un mondo popolato da oltre 30 milioni di giocatori, in una sorta di “battle royale” permanente. Essendo copie coscienti di persone reali, la loro “morte” nel gioco avrebbe conseguenze letali, sottolineando ancora una volta la fragilità della vita digitale quando è dotata di consapevolezza.
Parallelamente, nel mondo reale, James Walton , co-creatore del sistema e responsabile dell’accesso di Daly alla tecnologia, tenta di insabbiare lo scandalo entrando a sua volta nel gioco per distruggere l’equipaggio. Ma la sua azione non è solo una copertura: è un atto di eliminazione volontaria di individui senzienti, sollevando nuovamente domande disturbanti sul valore della vita artificiale. La vera Nanette, coinvolta nella vicenda, finisce in coma dopo essere stata investita, mentre la sua copia digitale, protagonista dell’episodio, si ritrova di fronte a un dilemma: salvare i suoi compagni o prendere il controllo del corpo della vera Nanette nel mondo reale.
In una svolta rivelatrice, la scelta si dimostra un test orchestrato da un clone di Daly, una sorta di entità semidivina, custode del cuore del gioco. La ribellione di Nanette culmina con l’eliminazione del clone e l’attivazione di un protocollo di autodistruzione dell’intero sistema, rendendo il finale non solo narrativamente potente ma anche simbolicamente risolutivo: distruggere il creatore per distruggere il sistema.
Tuttavia, la vittoria è parziale. L’equipaggio si ritrova sì salvo, ma intrappolato all’interno della mente della vera Nanette, ora cosciente ,diventando una sorta di spettatori passivi della sua vita quotidiana. È una libertà a metà, una nuova prigione più sottile, dove la loro esistenza dipende dall’ospitalità mentale di un’altra persona. Questo passaggio finale è stato paragonato a quello di Black Museum, con un senso di giustizia imperfetta e inquietudine persistente.
Intanto, nel mondo reale, Walton viene arrestato, chiudendo un cerchio di responsabilità che non assolve né lui né Daly: entrambi vittime e carnefici, incapaci di gestire il potere che la tecnologia aveva posto nelle loro mani. Il gioco viene smantellato, e con esso una delle realtà più oscure mai partorite nell’universo di Black Mirror.
Cosa ci vuole comunicare USS Callister: Into Infinity
USS Callister: Into Infinity non è solo intrattenimento di alto livello, ma un monito inquietante mascherato da fantascienza. Dietro le dinamiche di gioco e i richiami a culture nerd si nasconde una denuncia lucidissima di ciò che potrebbe accadere quando il potere tecnologico supera la nostra capacità di gestirlo eticamente. Non si tratta più di “se” accadrà, ma di “quando” e “come” decideremo di affrontare la questione della coscienza digitale, della clonazione mentale, dell’identità replicata.
La serie ci costringe a porci una domanda scomoda: se una copia digitale di un essere umano è capace di soffrire, desiderare, pensare e ribellarsi… in che misura possiamo davvero considerarla “meno reale”? Qual è il confine tra simulazione e vita? E soprattutto, chi ha il diritto di decidere cosa merita di esistere?
In un mondo sempre più connesso e dipendente da ambienti virtuali, Black Mirror continua a mostrarci che i nostri incubi tecnologici non sono futuri distanti, ma realtà potenziali già scritte nel nostro presente. USS Callister: Into Infinity espande quella visione con intelligenza, lasciandoci sospesi tra fascinazione e terrore. E nel farlo, ci ricorda che ogni innovazione porta con sé una responsabilità che, spesso, siamo ancora troppo immaturi per assumerci.
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